Prima infanzia
Quando venivo al mondo,la guerra era finita da soli sei anni,ma io non potevo saperlo;non potevo sapere che la miseria che avevo intorno,che respiravo nella gente,che aleggiava nell'aria,che mi sentivo addosso,era figlia di quel periodo nero che aveva attraversato l’umanità intera. In realtà non la subivo appieno,non avendo la possibilità di paragone con un altro modo di vivere,questo fino al compimento dei sette anni,poi,come credo fosse comune a molti miei coetanei abitanti nei quartieri popolari,dopo i primi 2 anni di scuola elementare,fui mandato in collegio per continuare gli studi,non perché fossi un bambino vivace o peggio,ma semplicemente perché non avevo la possibilità di essere seguito da nessuno pur avendo quattro sorelle e un fratello più grandi di me. Mia madre era morta investita da un camion mentre attraversava quell’arteria mortale che è Via Casilina, era andata a comprare il latte per preparare un dolce per festeggiare il giorno dopo il mio secondo compleanno…chissà se quel giorno ho mangiato un dolce…Torpignattara, in quel periodo,era quasi periferia estrema,Roma centro mi sembrava lontana anni luce,la strada dove vivevo,forse nell’incoscienza dell’infanzia,e,forse,anche per un buon periodo in età adulta,psicologicamente mi era stata di grande aiuto per formarmi fisicamente e mentalmente,Via Capua,una strada in salita per circa duecento metri,poi con cento metri di piano,e due-trecento metri di discesa,collegante via Casilina a Via Labico,da dove si estendeva un prato che allora vedevo immenso,colorato,profumato,e lontano dai rumori e dalle urla della città. Inoltre,via Capua non era ancora asfaltata,era piena di buche e sassi,e le macchine non vi si avventuravano,quindi noi bambini potevamo sciamare,giocare e urlare senza timore di essere investiti. Col mio amico fraterno,Marco,di un mese più piccolo,e allattato in cooperativa da mia madre perché la sua non poteva,intraprendevamo folli corse da casa nostra,abitavamo lo stesso palazzo,al centro della via,evitando le buche e i sassi,sforzandoci di evitare di sbattere l’uno contro l’altro,poi,arrivati in fondo,lo slancio ci portava ad attraversare come saette via Casilina, fermando forzatamente la corsa contro il traliccio che torreggiava al centro della strada,dividente i binari del tram che dall’estrema periferia portava fino alle ‘Laziali’ l’inizio di quella che è la stazione Termini. Di quel periodo ricordo i giochi e le guerre con i sassi che facevamo,e quante teste sanguinanti e ginocchia sbucciate giravano per strada,ma era solo giocare,l’intenzione era che il sasso prendesse al massimo un fianco o la schiena,ma si sa che la mira è un optional…specie a quell’età,e il mangiare che scarseggiava,la carne era un miraggio che si intravedeva come oasi nel deserto dopo giorni di solleone,spesso a pranzo sulla tavola trovavo il minestrone fatto con i prodotti dell'orto che sovrastava il cortiletto interno e che apparteneva a Giuliana un'amica di famiglia,allora dicevo che volevo un panino con la mortadella perché non mi piaceva ma la risposta era che c'era il minestrone. Al pomeriggio rientravo dai giochi dicendo che avevo fame,dal forno usciva quel piatto di minestrone,insistevo che non mi piaceva e che volevo una citriola con la mortadella,ma inutilmente. La sera a cena trovavo ancora quel piatto...quanto era buono quel minestrone...E Fuffi, un bastardino bianco con una macchia nera intorno all'occhio
che un accalappiacani mi strappò dalle braccia dicendo che lo portava a curare e poi me lo avrebbe ridato,quanti pianti per quegli occhi dolci e gioiosi che non avrei più rivisto. Ricordo anche che nelle calde sere d’estate noi bambini sedevamo in circolo attorno a dei vecchi che raccontavano storie di guerra o di altre città,per lo più del sud Italia,ascoltavamo estasiati parlare di gesta eroiche e di parenti lontani o persi,e nella testa era come vivessimo noi stessi le avventure e provavamo una ridda di emozioni vedendo una lacrima scendere dai loro occhi o per l’esplosione di una improvvisa,grassa risata. Ricordo con affetto un vecchietto che passava due volte a settimana spingendo a fatica un carretto con sopra liquirizie e fusaie…dieci pescetti di liquirizia cinque lire,quanta fatica per trovare le cinque lire,generalmente noi bambini le guadagnavamo andando a fare la spesa per qualche vecchietta,a volte portando delle teglie di pasta a cuocere al forno che era in V. Casilina, andandole poi a riprendere, a volte restituendo al lattaio o al vinaio le bottiglie usate che avevano un deposito, ricevevamo una lira di mancia, poi aspettavamo pazientemente di essere chiamati per qualche altro servizio, ma quando arrivava il vecchietto dimenticavo la fatica sostenuta e assaporavo quelle delizie dal sapore ormai perso…
Sotto le feste tra questi servizi e qualcosa che ricevevo in regalo dai vicini di casa, riuscivo ad arrivare anche alle 75 lire sufficienti per andare al cinema 'Due Allori.' Entravo nel pomeriggio quando apriva, a quell'ora nelle 75 lire era compresa anche una rosetta con la mortadella, ed uscivo dopo l'ultima replica delle 22,30. Rivedevo il film tre volte gustandomi i 'prossimamente',gli spezzoni dei film di prossima programmazione che difficilmente sarei potuto tornare a vedere,ma principalmente la 'Settimana I.N.C.O.M ' che proiettavano durante l'intervallo fra una replica e l'altra. Era un reportage con notizie da tutto il mondo con gli avvenimenti principali della settimana. Le piccole guerre o colpi di Stato che avvenivano, gli incidenti aerei, le notizie sportive; ma io aspettavo con curiosità le notizie mondane, non per gli attori o i cantanti, non per le loro feste o performance, ma perché solitamente il servizio si chiudeva sempre con una stellina o aspirante tale seminuda. Scene riprese sul set di un film o in spiaggia in due pezzi, poi se accadeva che ci fosse una scena di spogliarello,al cadere del reggiseno appariva la parola FINE allora i fischi che prima erano di ammirazione e approvazione,si trasformavano in sonora protesta per quell'epilogo che tutti sapevamo già sarebbe stato così, ma il gusto era proprio nello sfogo programmato...
I primi giochi ‘amorosi’,erano con quella bambina che tutti indicavano come ‘fidanzatina’,facendomi arrossire e imbarazzare,negandolo fortemente,ogni volta che mi veniva detto,Pita,così la chiamavo,era l’amichetta del cuore,con la quale ci isolavamo in camera o nel sottoscala di casa sua e giocavamo a tutto,al dottore,al marito e moglie,al padrone e la schiava;non potrò mai dimenticare il sonoro ceffone preso quando sua sorella più grande ci sorprese mentre,giocando al dottore,le avevo calato le mutandine e la massaggiavo per farle una ‘iniezione’,per noi era veramente un gioco,senza nessuna forma di malizia,ma,giustamente,i grandi la vedevano diversamente;quello che però mi fece più male fu vedere le botte date a Pita e la proibizione di rivederci e giocare da soli…Chissà come si è svolta la sua vita,le auguro sia felice e abbia ottenuto tanto dal destino...Quel ceffone paradossalmente,mi diede modo di riflettere sul rapporto maschio-femmina,e sulle sensazioni interiori e fisiche che prima,quando lo consideravo solo un gioco non analizzavo,ma che poi,interpretato come ‘peccato’ e ‘cosa brutta che non si fa’, mi acuì la curiosità di saperne di più e di scoprirne il senso.